Hanno scelto la vita

Preghiera avvento 2020

Preghiera d’avvento in famiglia o in comunità

proposta dalle sorelle Carmelitane Scalze del Monastero S. Teresa Trasverberata di Ferrara ispirata alla vita e agli scritti dei coniugi Martin

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Luigi e Zelia Martin genitori di S. Teresa di Gesù Bambino

Luigi e Zelia Martin, genitori di S. Teresa di Gesù Bambino, canonizzati da papa Francesco il 18 ottobre 2015, sono i primi sposi ad aver raggiunto insieme la santità ufficialmente riconosciuta.

Nati rispettivamente a Bordeaux nel 1823, e a S. Denys sur Sarthon (Alençon) nel 1831, in famiglie borghesi di solidi principi cristiani; ben preparati ed avviati professionalmente (lui come orologiaio, lei come fabbricante–imprenditrice di merletti d’Alençon), avevano avvertito entrambi l’attrattiva della vita religiosa. Luigi aveva fatto una prova presso i Padri del Gran San Bernardo, ma non era stato ammesso nell’Ordine per difficoltà inerenti allo studio; Zelia aveva sognato di seguire la sorella visitandina nella scelta della vita consacrata ed aveva avuto un colloquio con le Figlie della Carità, ricevendone un rifiuto. Poi l’incontro casuale sul ponte San Leonardo, con il misterioso presentimento di Zelia, e il fattivo interessamento della madre di Luigi, li avevano portati alla conoscenza, alla stima e comprensione reciproci, all’affetto profondo, fino a giungere al matrimonio, celebrato nella notte tra il 12 e il 13 luglio 1858 ad Alençon. Ma qui erano iniziati i problemi… Zelia ignorava tutto del mistero della vita; la rivelazione fattale dal marito fu per lei uno choc emotivo. Luigi Martin l’addolcì, proponendole di vivere come fratello e sorella. Questo preludio verginale durò una decina di mesi e in questo periodo i due sposi adottarono un bambino loro parente, orfano di madre. Più tardi, pacificatasi l’emozione e facendosi più vivo il desiderio di avere figli per dedicarli a Dio, fu sufficiente il consiglio del direttore spirituale perché gli sposi vivessero pienamente il loro matrimonio. Seguiamo l’evoluzione del loro rapporto, stralciando dalle lettere di Zelia:

“…il giorno del mio matrimonio sono stata a trovare mia sorella nel suo monastero e lì ho pianto tutte le mie lacrime… Luigi mi comprendeva e mi consolava del suo meglio, poiché aveva gusti simili ai miei; credo anzi che il nostro reciproco affetto proprio così sia aumentato. I nostri sentimenti sono sempre stati all’unisono ed egli è stato per me un consolatore ed un sostegno”.

Nella stessa lettera Zelia continuava:

Ma quando abbiamo avuto i nostri figlioli, le nostre idee sono un po’ cambiate. Non vivevamo più che per loro, questi erano la nostra felicità…”. 

 Con il passar degli anni l’amore e la confidenza reciproca tra i due sposi si facevano sempre più vivi. Rivolgendosi al marito lontano, Zelia scriveva:

“…quando riceverai questa lettera sarò occupata a mettere in ordine il tuo banco di lavoro; non ti dovrai irritare, non perderò nulla, nemmeno un vecchio quadrante, né un pezzetto di molla, insomma niente, e poi sarà tutto pulito sopra e sotto! Non potrai dire che ho soltanto cambiato di posto alla polvere, perché non ce ne sarà più… Ti abbraccio di tutto cuore; oggi sono tanto felice al pensiero di rivederti che non posso lavorare. Tua moglie che ti ama più della sua vita”.

Pur impegnata in una intensa attività commerciale, nella quale si distingueva anche come datrice di lavoro onesta e generosa, Zelia ebbe la felicità di dare al suo Luigi nove figli, quattro dei quali morti in tenerissima età. Pensando a questi suoi angioletti, ella scriveva alla cognata:

Quando ho chiuso gli occhi ai miei cari piccoli bambini e li ho seppelliti, ho provato un grande dolore, a cui mi sono tuttavia rassegnata. Non rimpiango le pene e le preoccupazioni che avevo dovuto patire per loro. Molti mi dicevano: – Sarebbe stato meglio non averli mai avuti – . Non potevo sopportare questo linguaggio. Non trovavo affatto che le pene e le preoccupazioni potessero essere messi sulla bilancia con la felicità eterna dei miei figli. Inoltre essi non erano perduti per sempre; la vita è corta e piena di miserie… li si ritroverà lassù. E’ soprattutto alla morte del primo che ho sentito vivamente la felicità di avere un figlio in Cielo. Perché il buon Dio mi ha provato in modo sensibile che aveva gradito il mio sacrificio. Io ho ottenuto, con la mediazione di questo piccolo angelo, una grazia straordinaria… Vedete, cara sorella, che è un grande bene avere dei piccoli angeli in Cielo, ma non è meno penoso per la natura perderli: sono queste le grandi pene della nostra vita”.

Con le cinque bimbe rimaste gli esemplari genitori avevano costituito una famiglia unita e serena; le piccole si sentivano amate e desiderate e nasceva spontaneamente in loro il desiderio di far piacere a Gesù e ai genitori.

Ma le preoccupazioni non mancavano a questi coraggiosi genitori: ricerca di nutrici, angosce per la salute dei bambini, attenzione vigilante per preservare le figlie da relazioni poco convincenti, sacrificio per la separazione dalle due maggiori, in collegio per motivi di studio. Leonia, la terzogenita, una natura difficile e malaticcia, anche se capace di slanci di generosità, era quella che creava più problemi ai genitori. Venne espulsa due volte dal pensionato della Visitazione, dove la madre sperava potesse correggersi sotto la buona influenza della sorella. Zelia aveva cercato di portare a sé la piccola con la pazienza, la persuasione e la dolcezza.

Colpita da tumore al seno, allora inoperabile, Zelia aveva reagito in modo sereno ed energico, tutta penetrata dalla fede in Dio e dal desiderio di risparmiare angosce ai suoi cari. Così si esprimeva nelle sue lettere:

Il buon Dio mi fa la grazia di non spaventarmi; sono tranquillissima, mi sento quasi felice, non cambierei la mia sorte con nessun’altra. Se il buon Dio mi vuole guarire, sarò contentissima, perché in fondo desidero vivere. Mi costa lasciare mio marito e le mie figliole. Ma d’altra parte mi dico: – Se non guarirò è forse perché per loro sarà più utile che io me ne vada… – . Intanto farò tutto il possibile per ottenere un miracolo; conto sul pellegrinaggio a Lourdes, ma se non sarò guarita, cercherò di cantare lo stesso”.

Il ritorno ad Alençon segnò l’inizio della fase finale della malattia. Sempre dimentica di sé, Zelia cercava di sollevare i suoi cari. Scriveva alla figlia:

Tuo padre è stato molto sorpreso di vedermi ritornare così allegramente, come se avessi ottenuta la grazia desiderata; questo gli ha ridato coraggio e ha riportato il buon umore in casa”.

Anche quando le sofferenze si faranno più acute non vorrà disturbare gli altri, in particolare le bambine, e si installerà da sola nella camera di Leonia. Maria la sentiva gemere durante le sue insonnie:

O Voi che mi avete creata, abbiate pietà di me!”.

E quando ci si alzava per aiutarla, mostrava uno stupore doloroso:

Perché dovete disturbarvi, quando non c’è niente da fare?”.

La morte la colse all’alba del 28 agosto 1877.

Rimasto solo, il signor Martin si era trasferito a Lisieux, per poter assicurare alle ancor giovani figlie l’assistenza della zia e la compagnia delle cugine. Iniziava così, nella graziosa villetta dei Buissonnets, una vita serena e devota, segnata però da una progressiva riduzione dei componenti il nucleo famigliare: le ragazze infatti, una dopo l’altra, prendevano la strada per il Carmelo, sostenute dal padre, che, pur soffrendone, confidava ad un amico:

Dio mi fa un grande onore prendendo tutte le mie figlie per sue spose”.

Molto amante dei viaggi, il Signor Martin, che già aveva fatto visitare alle figlie le bellezze di Parigi, nel 1887 si era recato a Roma, per il giubileo sacerdotale di Leone XIII, recando con sé Celina e Teresa. Quest’ultima aveva allora domandato al Papa di potere entrare al Carmelo a soli quindici anni. Dopo l’ingresso in monastero della figlia più piccola, si erano manifestati in Luigi i primi sintomi di una malattia cerebrale degenerativa. Il progressivo peggioramento, segnato anche da episodi drammatici ed umilianti, aveva costretto i parenti ad internarlo in una clinica psichiatrica. Era stata questa l’ultima, grande prova, subita da un uomo che, fino ad allora rispettato e considerato un patriarca, si era visto relegare in una della categorie sociali a quel tempo più disprezzate, quella degli alienati mentali, mentre le sue figlie venivano accusate, nei pettegolezzi che si facevano in città, di esserne stata la causa, avendolo abbandonato, una dopo l’altra, per abbracciare la vita religiosa. Ma tutto il signor Martin aveva accolto con amore ed eroico spirito di fede, dando prova, nei momenti di lucidità, di possedere un’autentica santità. Perduto l’uso delle gambe e riportato in famiglia, amorevolmente assistito da Celina, era spirato il 28 luglio del 1899, lasciando in Teresa la dolcissima impressione di ritrovare, dopo i sei anni di malattia, colui che dal cielo avrebbe vegliato, come potente intercessore, sulla sua vertiginosa scalata alla santità.

le carmelitane scalze di Ferrara